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DALLE CAVE ROMANE A QUELLE MODERNE
21. February 2010 17:47
(last updated: 21. February 2010 18:15)
Pubblicato in CAVE E GEOLOGIA

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Storicamente la pietra rappresenta il primo materiale lavorato dall’uomo, poi evolutosi ad impresa con gli egizi, greci i quali furono tra le prime civiltà a lucidare il marmo (gli egizi - non si sa come - riuscivano a lucidare anche graniti e porfidi). Non ci dilunghiamo sul porfido rosso antico, gli onici di Alabastron, il granito del foro (tonalite) e sul granito della guglia (rosso di Assuan). Questi materiali erano estratti da cave ormai esaurite (o non usate più) che vennero utilizzati ampiamente per il loro carattere simbolico nella roma imperiale. Anche i greci con il marmo Paros, Pentelico, Cipollino avevano i loro materiali tradizionali da lucidare.

(foto: anfiteatro romano in arenaria locale ad Arles in Camargue, cliccare per ingrandire)

Ma i romani usarono anche marmi propri: sotto l'impero iniziò l'estrazione a Carrara (Luni) del marmo bianco come sostituto al marmo dell'isola di Marmara. A Carrara vi era una vera e propria industria lapidea con un “procurator” che sovraintendeva affiancato per la parte tecnico-commerciale dai “machinatores”, maneggioni tuttofare alle cui dipendenze lavoravano i “caesores”, funzionari che dirigevano le attività di estrazione e di lavorazione. Categorie di operai specializzati si suddividevano le varie incombenze tecniche: c’erano i “marmorarii”, che lavoravano alla cava, i “quadratari”, che squadravano i blocchi i “sectores serrarii”, che lo segavano in lastroni. Apposite navi (“naves lapidariae”) erano adibite al trasporto dei blocchi e dei lastroni a un grande e porio a Roma dove schiere di altri specialisti (“lapidarii”, “sculptores”, “politores”, “caracterarii” ) rifinivano e adattavano. Le residenze imperiali venivano realizzate in cipollino mandolato estratto dai Pirenei, nella Roma moderna ci sono ancora marmorari locali che collezionano i marmi antichi (egizi, greci, romani) in piccole tessere, gli antenati del collezionismo delle figurine. Spesso per riusarli li si riunisce in mosaici policromi.

Per tutto il medioevo le cave vennero coltivate secondo il metodo romano senza particolari evoluzioni, erano molto frequenti quelle in galleria sostenute da pilastri naturali.
Nel Rinascimento ci fu la prima svolta tecnica che sostitui l’estrazione una volta eseguita con cunei inseriti nelle fessurazioni con lo scoppio della polvere pirica che era stata nel frattempo scoperta.

Il primo telaio per il taglio dei blocchi nasce nella zona di Viggiù come derivazione di un mulino ad acqua per la farina. Usando la forza dell'acqua si attivava un movimento alternato delle lame senza denti sotto le quali veniva messa sabbia quarzifera e acqua.

Gli esplosivi usati nel passato nelle cave di marmo sono adesso attivamente denigrati dagli attuali coltivatori perchè le esplosioni hanno spesso fratturato in profondità la montagna rovinando molti blocchi sottostanti che sarebbero stati buoni. La soluzione che permise di non usare gli esplosivi fu il filo elicoidale prima e il filo diamantato dopo. Ora anche per rimuovere il cappellaccio si usa il filo e l'escavatore per la cura di non rovinare niente del sottostante buon materiale. Le perforatrici che adesso si usano per sezionare i blocchi sono invece di derivazione da quelle sviluppate per le cave di carbone in Belgio di inizio 1800 le prime miniere a essere industrializzate dalla omonima rivoluzione.

La moderna lavorazione del materiale lapideo si può dividere in quattro fasi principali:
La prima interessa la ricerca del materiale e la miglior tecnica da applicare per la “coltivazione “ della cava. In questo campo l’Italia vanta una grande esperienza che esporta in tutto il mondo con la dotazione della tecnologia necessaria di cui è leader assoluto. Segue la lavorazione primaria che taglia il blocco di materiale proveniente dalla cava. La tecnica di segagione è diversa a seconda dei materiali. Per i duri graniti oggi si utilizzano grandi telai con lame tradizionali che producono anche 300 lastre per volta, per gli altri materiali la scelta è tra l’uso dei telai, in questo caso con utensili diamantati o, in alternativa secondo le dimensioni del blocco o l’esigenza di alta serialità, i sistemi diamantati multidisco che producono in una sola fase le liste di materiale modulare. In tempi recenti si è passati anche all’impiego di multifilo (diamantati) che riprendono in multiplo e in segheria la stessa lavorazione di taglio che avviene nelle cave. La buona riuscita di questa fase é molto determinante sul valore del costo finale di produzione perché può limitare al minimo la successiva fase di levigatura e lucidatura. Non esistono sostanziali diversità nel processo di trattamento delle superfici tra travertini, marmi, graniti o, anche, materiali compositi realizzati con il recupero della frantumazione di cava, se non alcune fasi accessorie come la stuccatura.

La lavorazione del marmo e del granito è da tempo sicura e ben regolamentata. Gli aspiratori e le pareti d’acqua hanno eliminato le polveri e quindi i pericoli legati alla loro respirazione. Le macchine hanno accorgimenti che allontanano gli operatori. Molte sono inoltre completamente automatizzate tanto da richiedere gli interventi solo a macchina ferma o a distanza. Tutti i laboratori sono areati o solo coperti da tettoie per non respirarsi la polvere. Nelle cave e nel trasferimento del materiale ci sono i pericoli di tutti i settori che necessitano la movimentazione di materiali pesanti e quelli dei cantieri. Gli incidenti sono quasi sempre collegabili alla confidenza che si dà alle lavo- razioni ripetitive. Le precauzioni sono ben definite dalle norme generali del lavoro a cui tutte le imprese sono assoggettate. Nel caso del lavoro artigianale è garantito anche dall’interesse dello stesso artigiano direttamente coinvolto nella lavorazione e, ovviamente, ben atte to a se stesso e al suo futuro. Qualche martellata sbagliata fa parte comunque del lavoro e delle nuove esperienze.



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